“Dopo il terremoto: paure e risposte”

Sabato 10 settembre René Núñez Téllez, un grande compagno ci ha lasciato.
René per l’Associazione Italia-Nicaragua è stato un importante punto di riferimento politico ed anche un amico. 
Una persona straordinaria, di rispetto e ammirazione. 
Un uomo semplice con un grande cuore, ma soprattutto pulito e onesto, un esempio di pratica di etica morale. 
Sarà un compagno indimenticabile per la solidarietà.
Siamo vicini a tutti coloro che lo hanno amato e continueranno ad amarlo.
Siamo addolorati e tristi, come i suoi compagni e compagne del partito.
Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia di René
Ti ricorderemo e ti salutiamo René con un Hasta Siempre Comandante perchè lo eri davvero un comandante e rivoluzionario – Associazione Italia-Nicaragua

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Una scossa di terremoto rivela la fragilità dei nostri corpi, del nostro quotidiano, del nostro essere nel mondo; distrugge case (ancora una volta sono crollati edifici di antica fattura e orrendi edifici in cemento armato), ma distrugge anche lo scheletro della nostra esistenza. La sensazione di essere dentro la fine del mondo e chi lo ha provato non lo dimentica per il resto della vita; come per noi di Tuscania il 6 febbraio di un lontano 1971. Resta nei ricordi come marchio di un’epoca, un punto fisso, il posto in cielo di una costellazione. Perché il terremoto scuote fondamenta e nervi, scaraventa all’aperto. Si ritorna nomadi, accampati dentro vetture e tende. Ha scritto Erri De Luca di come la grande paura del suolo traballante riunisce i sentimenti e le fibre di una comunità. Si è più attenti e pronti alla necessità comune. Senza muri su muri a separare, si fa parte di un solo accampamento, ravvicinati dalla sorte uguale. Si sta come viandanti nel deserto.

FOTO  1Le paure di prima (precarietà di lavoro, di avvenire, etc.), che lasciano isolati e sgomenti, diventano piccole e remote. “Le grandi sciagure sono anche un tremendo momento di verità, apocalissi nel senso etimologico della parola: disvelamento. Dopo il terremoto che ha colpito gran parte dell’Italia centrale la prima cosa da fare è recare soccorso alle vittime, salvare tutte le vite che è ancora possibile salvare, garantire alloggio e assistenza ai superstiti. Le persone che ho incontrato oggi in città (vivo a Viterbo, la scossa stanotte l’abbiamo sentita tutti) tutte erano persuase del dovere di recare aiuto. È giusto. È l’umanità come dovrebbe essere. È lo stesso dovere lo abbiamo nei confronti di chi fugge dalla guerra e dalla fame, delle persone che hanno perso la casa e ogni bene e che cercano di giungere nel nostro paese per scampare alla schiavitù, all’orrore, alla morte. Vi è una sola umanità. Questo è un essere umano: una persona che aiuta le altre persone. Questa è la regola prima della convivenza, della civiltà: aiuta le altre persone come vorresti essere aiutato tu nell’ora del dolore, nell’ora della paura, nell’ora del bisogno” (Peppe Sini, Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo). Ma la solidarietà umana non si esercita solo dopo il terremoto, deve esercitarsi anche prima: migliorare la sicurezza e la stabilità degli alloggi, garantire ad ogni persona una casa degna, così come predisporre infrastrutture e servizi adeguati, un’assistenza efficace. I danni e le vittime, i lutti e i costi provocati dall’ultimo terremoto è l’ennesima conferma di come la parte più bella e più vera del nostro Paese, del suo territorio e delle sue comunità, si sta disfacendo, si è accartocciata in una notte d’agosto come cartapesta. Manca la manutenzione ordinaria e straordinaria, manca la messa in sicurezza del territorio. Se le risorse vengono promesse per il ponte sullo stretto, dirottate sulle grandi opere, destinate a chi compie 18 anni o regalate per gigantesche decontribuzioni a favore delle imprese, o peggio ancora sperperare per fare la guerra, nelle spese militari, ciò accade per una scelta politica che non apprezza la messa in sicurezza del territorio come bene pubblico prioritario. Siamo predisposti ai lavori di ricostruzione, non di consolidamento preventivo. Allo stesso tempo, se la solidarietà con i terremotati è immediata, istintiva, quella con i migranti si scontra con il filo spinato e i muri alzati nella Fortezza Europa. Siamo smemorati, abbiamo velocemente dimenticato che, fino a poco tempo fa, eravamo noi italiani, dall’altra parte del mare.FOTO 2La violenza, il razzismo e la turpitudine del mondo attuale contagiano chi non ha buone difese, a partire dai sogni e dall’utopia. Bisogna recuperare le buone fibre della società umana, la fraternità, la condivisione e la suddivisione in parti uguali. Vale per l’Italia, come per il resto del mondo. Non è compito facile. Ma se si osserva il contesto internazionale si può dire che l’America Latina (nonostante il ritorno dei neoliberisti in due paesi chiave Argentina e Venezuela), rimane oggi, in prevalenza, un’isola felice in un mondo martoriato da guerre e conflitti. Un’isola però ancora una volta ostaggio della Dottrina Monroe (dal nome del quinto presidente americano, James Monroe, 1823). Lo abbiamo più volte sostenuto su queste pagine, ma dobbiamo ricordarlo ancora una volta: gli Stati Uniti dal 1823 hanno teorizzato il diritto esclusivo di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia, con le Nazioni del continente americano. Peccato però che nel corso della storia del ’900 questi principi si sono tradotti in colpi di Stato e nella nascita ed appoggio a dittature in America latina, la cui ferocia non è necessario qui sottolineare. Basta ricordare che quando il generale Somoza prese il potere con un colpo di Stato in Nicaragua (1936) e iniziò a far fuori gli oppositori come fossero mosche, il presidente Franklin Roosevelt spiegò ai suoi preoccupati consiglieri che “Sarà un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana“, garante della stabilità nel cortile di casa degli Stati Uniti.FOTO 3Adesso, dopo il fallito golpe del 2002 contro l’allora presidente del Venezuela Hugo Chàvez, siamo passati alla strategia del “golpe parlamentare” messo in atto prima contro Manuel Zelaya (Honduras, giugno 2009), poi contro Fernando Lugo (Paraguay, giugno 2012), ed infine contro Dilma Rousseff destituita dopo che il Senato (30 agosto) ha approvato l’impeachment. Il New York Times, quotidiano non certo progressista, ha riassunto così la situazione della presidente brasiliana Dilma Rousseff: “Non ha rubato niente ed è giudicata da una banda di ladri“. Non possiamo che unirci alle tante voci che in tutto il mondo condannano questo golpe, esprimere la nostra solidarietà a Dilma Roussef, continuare la lotta contro chi vuole normalizzare il Continente ribelle.

FOTO 4Non a caso Obama ha dichiarato: <<Per noi il Venezuela rappresenta una minaccia straordinaria ed insolita per la nostra sicurezza nazionale>>. È evidente che gli Stati Uniti sono interessati a chiudere la porta alla speranza aperta dall’America Latina, a riportare indietro l’orologio della storia. Come non ricordare le parole dell’ex presidente uruguayano Pepe Mujica: <<L’America Latina sta provando a fare la sua parte, ma abbiamo bisogno delle vostre idee (Europa ndr), del vostro impegno, del vostro desiderio di cambiare le condizioni materiali e ideali di vita di questa umanità>>. È questa la sfida comune, che evidentemente richiede un’altra Europa (quella originaria “Manifesto di Ventotene”), da quella attuale immersa nel brodo di egemonia finanziaria, che si sta impoverendo perché favorisce “elite” plutocratiche che dominano incontrastate, e che non c’entrano nulla con la democrazia. Una cosa è certa: l’evoluzione di quanto succederà in America Latina sarà illuminante per il futuro di tutta l’Europa.

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