UNA TESSERA PER IL 2017

HASTA SIEMPRE COMANDANTE!!! – Fidel esta vivo! – Quando morì Hugo Chavez, Fidel Castro disse: “Volete sapere chi era Chavez ? Guardate chi festeggia la sua morte e chi lo piange, e lo saprete”. Parafrasando le sue parole, oggi non resta che dire:  “Volete sapere chi era Fidel Castro ? Guardate chi festeggia la sua morte e chi lo piange, e lo saprete”.

Se fossero solo numeri le nostre folli spese belliche: oltre 29 miliardi di euro nell’anno 2015; circa 4.500 soldati impegnati in vari teatri di guerra, come il contingente che andrà in Lettonia; la produzione e la vendita delle armi che uccidono tre volte: quando si producono, perché tolgono risorse al nostro sistema sociale; quando si usano in guerra, con stragi indiscriminate; uccidono anche finita la guerra, con lunghe agonie di feriti, mutilati, contagiati da sostanze tossiche e radioattive … se fossero solo numeri non racconterebbero l’orrore della guerra, giustamente definita da Erasmo da Rotterdam come omicidio e latrocinio: “E cosa è la guerra se non l’omicidio indiscriminato dei molti, e un latrocinio tanto più scellerato quanto più esteso?“. La guerra occidentale ha distrutto e raso a zero tre Stati fondamentali per il Medio Oriente: l’Iraq, la Libia e la Siria. Senza queste guerre lo Stato islamico nemmeno esisterebbe. L’Isis si ferma solo togliendogli sotto i piedi il terreno fertile della guerra e dell’odio. Basta guerre, cominciando a risolvere le crisi, come quella israelo-palestinese, che restano aperte come voragini, sono brace sotto la cenere che riscalda le basi identitarie dello jihadismo armato. Le spese militari, non conoscono austerità assommano a circa 80 milioni di euro al giorno, non sono solo numeri, sono uno insensato sperpero di denaro pubblico con cui potremmo organizzare, tra le altre cose, una dignitosa accoglienza dei migranti.1Come non sono numeri i centinaia di migliaia di esseri umani in fuga dalla guerra o dalla fame. Cosa vuol dire trovarsi all’alba del terzo millennio a dover, ancora una volta, scappare, forzare confini, buttarsi in terra incognita per fuggire da una terra matrigna di sentimenti, e madre invece di fame e torture, umiliazioni e assenza di fortuna. Vessati da stati cani da guardia (come la Turchia), dalle milizie libiche, abbandonati sulle isole greche, bastonati in Ungheria, con le mani sempre più scorticate dai fili spinati della fortezza Schengen, salvati a stento nel Mediterraneo (quando ce la fanno); per poi essere additati (in quel bel coacervo di egoismo che va sotto il nome di Europa) come pericoli per l’ordine pubblico, fatti languire in Cie e Cara e sfruttati nel sottobosco del lavoro precario. La guerra allo straniero “che ti ruba il lavoro” è un’arma di distrazione di massa per distoglierci dai veri responsabili della precarietà e dello sfruttamento. Il nostro governo ha strappato i diritti del lavoro, impoverito il pubblico impiego, condannato i giovani all’emarginazione, aziendalizzato la scuola e privato la sanità. Grandi riforme che piacciono ai poteri forti oggi in angoscia per il referendum del 4 dicembre. Così, per l’ottusità di gran parte dei governi europei e per l’ostilità di una minoranza della popolazione, milioni di esseri umani privi di protezione continueranno a sopravvivere ai margini della società opulenta. È proprio questa nuova fascia di esclusi la novità esplosiva del terzo millennio. Non possiamo essere indifferenti. “La mia solidarietà ad ogni profugo da dovunque venga e ovunque si trovi” (Edith Bruck, sopravvissuta ad Auschwitz). Sappiamo che cosa andrebbe fatto ma non ne abbiamo la forza: è solo un problema di numeri? “Se non ora, quando? Se non qui, dove? Se non io, chi?” (Primo Levi). Una politica di accoglienza e di inclusione dei milioni di profughi diretti verso la “fortezza Europa”, non è solo questione di umanità, condizione comunque irrinunciabile per la comune sopravvivenza. È anche la via per ricostruire una vera cultura di pace, oggi resa minoritaria dal frastuono delle incitazioni alla guerra. Perché solo così si può promuovere diserzione e ripensamento anche tra le truppe di coloro che attentano alle nostre vite.2In tutto questo ci riconosciamo come Associazione Italia-Nicaragua. Noi che siamo nati negli anni ’80 del secolo scorso, quando sembrava che i giovani di sinistra di tutto il mondo si fossero dati appuntamento in quel piccolo paese dell’America Centrale, a inseguire il sogno di una rivoluzione socialcristiana e  aiutare i sandinisti aggrediti tramite la contras dagli Stati Uniti. “Ho conosciuto un paese pieno di ottimismo e di fermenti, giovani guerriglieri pronti alla sfida di costruire un paese nuovo, lì ho visto la disperazione di chi non poteva dimenticare l’orrore della guerra e della dittatura, la miseria dei tanti bambini randagi in un paese in cui la repressione, la povertà e la guerra avevano segnato profondamente soprattutto i giovani e i giovanissimi. Sono tornata molte altre volte in Nicaragua nei dieci anni di governo rivoluzionario, ma l’esperienza di quei primi momenti è indimenticabile” (Alessandra Riccio). Poi c’è stata l’imprevista sconfitta elettorale dei sandinisti nel febbraio 1990: “Lo sconcerto generale e la fine del grande sogno di una rivoluzione pluralista e aperta. Troppo aperta – come si è poi constatato – alla critica, alle alleanze, al gioco democratico condotto e diretto da forze assai più potenti di quella dei comandanti sandinisti, coraggiosi, a volte eroici, ma forse impreparati all’impari lotta scatenata dall’opposizione e dagli Stati Uniti d’America alla cui guida c’era l’accanito Ronald Reagan, determinato a non permettere un’altra Cuba nel cortile di casa” (Alessandra Riccio). Sono passati tanti anni, tante cose sono cambiate e se il Nicaragua non è più la speranza di allora, l’America Latina continua a rappresentare un crocevia importante. “Le forze politiche della conservazione e del capitale realizzano un’offensiva per recuperare l’egemonia politica persa agli inizi del XXI secolo. Non dovrebbe sorprendere nessuno, a sinistra, che gli Stati Uniti con la loro politica estera imperiale e attraverso l’uso della propria forza economica, militare e politica, vi siano coinvolti come attori principali per realizzare il loro spregevole obiettivo di dominare e subordinare ciò che considerano il loro “cortile di casa” (…) Di sicuro, un’eterogeneità di forze sociali e politiche anticapitaliste, progressiste e rivoluzionarie si sono rese protagoniste, all’inizio del secolo, di una chiara vittoria contro il consenso di Washington sconfiggendo la proposta Nordamericana dell’ALCA e sottraendo le politiche pubbliche statali dal neoliberismo. La ribellione dei nostri popoli è cominciata con l’insurrezione popolare del Comandante Hugo Chávez e del popolo bolivariano del Venezuela. Il presidente Rafael Correa lo ha riassunto bene: “l’America latina non vive un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca”. Tuttavia, accade che da metà della seconda decade del XXI secolo si producano fatti socio-economici e politici che fanno retrocedere i processi progressisti portandoli ad una condizione sfavorevole nei rapporti di forza del continente. Il punto di partenza di qualsiasi riflessione o analisi  è riconoscere questa realtà, non eluderla (…) Quanto è opera dell’imperialismo? Evidentemente, molto. Quanto si spiega con i nostri errori e omissioni? Probabilmente abbastanza. È dunque il tempo di una critica che usi la ragione come strumento e di un’analisi senza pregiudizi; cerchiamo cause e non colpevoli, utilizziamo argomenti e non screditamenti personali tra di noi, tutto questo come corollario della speranza che rinascerà(Rodrigo Cabezas Morales, Vicepresidente e responsabile esteri  Partido Socialista Unido de Venezuela). 3Intanto l’elezione a presidente degli Stati Uniti di Donald Trump rende il contesto internazionale ancora più cupo e fosco. Un bullo ignorante, uno speculatore razzista, maschilista, sostenitore dell’uso sfrenato delle armi e di brutali rapporti di dominazione, che disprezza la democrazia e la dignità umana e chi più ne ha più ne metta. Temiamo che il “sogno americano” si farà incubo per sé, per la terra e per tutti i popoli. Quanto a noi, come Associazione, continueremo ad informare sull’America Latina (la promessa di Trump di farla finita con il “castro madurismo”) e il Nicaragua dove la recente rielezione di Daniel Ortega dimostra che “la popolazione, dopo sedici anni di interruzione neoliberista, continua a dare fiducia alla linea politica e soprattutto ai programmi sociali perseguiti (e nella maggior parte dei casi, eseguiti) dall’FSLN e dall’alleanza che lo sostiene. Con le contraddizioni e i limiti che inevitabilmente si trova ad affrontare” (Massimo Angelilli). Da parte nostra, manterremo piena autonomia di giudizio nei rapporti col governo nicaraguense, basata sulla chiarezza del confronto, non staremo zitti su cose che riteniamo di dover dire. Cosa non facilissima, in una situazione fortemente polarizzata come quella nicaraguense, ma non abbiamo mai firmato assegni in bianco a nessuno. La nostra resta una solidarietà critica, non un’obbedienza cieca; non tollereremo condizionamenti che minassero l’indipendenza della nostra Associazione. Per questo, continueremo a lavorare intorno ai nostri progetti, dall’appoggio all’Istituto de Arte Popular Loàsiga di Estelì (referente principale il Circolo di Roma dell’AIN itanicaroma.noblogs.org); allo studio sul profilo epidemiologica dell’insufficienza renale cronica e dei suoi principali fattori di rischio nel municipio Larreynaga-Malpaisillo, Leòn, (promosso dal Circolo di Livorno dell’AIN www.nicalivo.com); al sostegno all’Ospedale pediatrico “La Mascota di Managua” (www.itanica.org), il più importante ospedale per bambini del paese, specializzato nella cura della leucemia, costituisce una delle poche esperienze di cooperazione nel campo dell’oncologia pediatrica con Paesi del Sud del mondo. Il progetto, nato nel 1986, denominato “La Mascota”, dal soprannome del bambino cui è stato dedicato l’ospedale, inizialmente poneva l’attenzione sulla diagnosi e terapia della LLA (leucemia linfoblastica acuta), patologia frequente, e in un secondo tempo sulla diagnosi e terapia dei tumori solidi e di altre patologie ematologiche. Nel corso degli anni il progetto si è consolidato e sviluppato grazie alla collaborazione tra i medici della Mascota e i colleghi della Clinica pediatrica dell’Università di Milano Bicocca Ospedale San Gerardo Monza e dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona.

4Certo, il senso politico di un’associazione di solidarietà internazionale, si misura anche all’interno del proprio Paese d’origine. Siamo consapevoli che dalla nostra nascita, come Italia-Nicaragua, ad oggi il mondo intorno a noi è profondamente cambiato. Le strade. Le relazioni. Gli strumenti. Le sconfitte. C’è un accumularsi, per certi versi insostenibile, di tante sconfitte. E se chiodo sciaccia chiodo, tre chiodi, però, fanno una croce. E di chiodi ne abbiamo visti più di tre. Le parole si sono consumate tutte. Rischiamo di non ritrovare più neppure la nostra identità, pur essendo consapevoli di chi eravamo. Trent’anni fa avevamo un mondo diviso tra Nord e Sud. Tra ricchezza e povertà. Oggi questa divisione si è sgretolata sotto i poteri forti della globalizzazione, a partire dagli interessi enormi dell’economia. Oggi, il nostro vecchio mondo sta crollando, lasciando in prospettiva solo rovine, e in questo chiaroscuro abbiamo ancora una scelta tra i mostri che sorgono e una politica nuova, una politica dell’amore rivoluzionario. Una rivoluzione etica, la capacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, di mettersi al posto degli altri. E con essa l’esigenza della solidarietà, il riconoscimento tra eguali. Una politica del noi, davvero inclusivo, contro l’io su cui si fonda il progetto eurocentrico liberista o neoliberista. È una sfida a costruire un noi (“sale della terra”) capace di riconoscere il moltiplicarsi violento delle frontiere che il capitalismo impone al mondo. Perché fin quando la sollevazione contro queste schifezze non sarà universale e collettiva, anche la nostra rabbia non sarà che parole e polvere.

5Perciò, anche quest’anno, vi chiediamo di non lasciarci soli, il nostro lavoro ha senso solo se condiviso con voi. Crediamo che nel nostro dissestato Paese ci sia bisogno, oggi più che mai, di punti fermi dove la solidarietà nazionale ed internazionale possa continuare a germogliare. Non ha caso abbiamo dato il nostro piccolo contributo economico in favore delle vittime del terremoto, attraverso l’Arci, e dell’Associazione “Ristretti Orizzonti” (Informazione dal e sul carcere indipendente). Come non ricordare che la prima misura presa dal governo sandinista, dopo il 19 luglio 1979, fu l’abolizione non solo della pena di morte, ma anche dell’ergastolo, introducendo misure che avrebbero ridotto enormemente l’uso di celle e sbarre. “Era l’unico paese a mettere in discussione la necessità del carcere, trasformando le prigioni in fattorie aperte, gestite come cooperative dove i semi-detenuti si dividevano il ricavato dei lavori, e mi capitò spesso di vedere folti gruppi di “condannati” andare a fare il bagno nel Gran Lago, accompagnati da una sola guardia e disarmata” (Pino Cacucci). Quindi, grazie per la vostra amicizia e la vostra vicinanza. Noi la sentiamo e siamo certi che, leggendo le nostre pagine, visitando il nostro blog e i social network (face book & twitter), partecipando alle nostre iniziative, la sentiate anche voi. Quello che vi chiediamo è di sostenere la cultura della solidarietà internazionale, perché siamo profondamente convinti che la solidarietà è già politica. Tesserarsi è un modo concreto per sostenere il presente e il futuro dell’Associazione Italia-Nicaragua. Viviamo solo del denaro che ci arriva tramite le tessere, cui aggiungiamo molto lavoro fatto con passione e del tutto gratuitamente. Non è retorica, non abbiamo nessun altro tipo di finanziamento. È un piccolo miracolo, in questo Paese triste e scoraggiato. Non solo, se il bollettino “Quelli che Solidarietà” può uscire puntualmente con i suoi sei numeri l’anno è perché ci sono soci che hanno scelto di concedersi il piccolo lusso di versare qualcosa in più del prezzo del tesseramento. Alcuni hanno fatto anche di più. Che cosa possiamo dire? Soltanto grazie. Tutto questo ci spinge a cercare di fare sempre di più e meglio, con passione e determinazione, per la nostra piccola grande impresa, di credere nel nostro progetto di una società non escludente, ma giusta e solidale. Parole e azioni che scaldino il cuore ed accendano la mente, che dicano di accoglienza, di rispetto della libertà di tutti, di giustizia, di diritti, di convivenza, di solidarietà “tenerezza dei popoli”. Anticipatamente auguri di un sereno Natale e di felice Anno Nuovo.La visione della stella polare non dice mai al pescatore in quale direzione debba muovere, ma egli non avanzerà nella notte se non è in grado di riconoscerla” (Simone Weil).

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