UNA TESSERA PER IL 2019

L’anno che ci stiamo lasciando alle spalle è uno dei più crudeli, feroci, dolorosi e oscuri  di questi ultimi anni. Da noi il razzismo è oramai sdoganato e quello che rattrista è lo smisurato consenso che guadagna il disprezzo per i deboli, i migranti. Davvero c’è qualcuno disposto a credere che la mancanza di lavoro, i salari bassi, la precarietà, la crescente disuguaglianza fra l’1% più ricco che detiene il 42% delle ricchezze e il 99% che deve accontentarsi del resto sia colpa degli immigrati, come qualcuno vorrebbe farci credere?  E come la mettiamo con le malattie ataviche di questo paese che sono corruzione, mafie, assenza di meritocrazia, ipocrisia, menefreghismo, disprezzo del bene comune? Davvero c’è qualcuno che ha il coraggio di dire che anche tutto ciò è colpa di chi viene da fuori? Però, ci dicono, gli italiani si sentono minacciati. Intristiti dalla stagnazione economica, vedono svanire il sogno del benessere e stranieri e rom diventano colpevoli, valvola di sfogo e capro espiatorio di ogni lamentela. Incapaci di rivoltarci contro i potenti, attacchiamo i più deboli: è una storia nota, ma triste. Così sembra diventato essenziale riscoprire le “radici comuni”, liberare i nostri quartieri da moschee, templi e negozi di kebab, cacciare i rom che setacciano i cassonetti e i lavavetri che stazionano ai semafori. Non ha importanza quale sia il loro destino. L’essenziale è non vederli più attorno a noi, ricostruire il piccolo mondo che conoscevamo e che c’è sfuggito. L’arrivo di gente in fuga da guerre e carestie è stato ribattezzato invasione e tanti sembrano armai incapaci di mostrare anche solo umana pietà verso chi sbarca sulle nostre coste e verso le migliaia che non ce la fanno. Secondo le Nazioni Unite sono oltre 2mila i migranti morti dal gennaio 2018 nella traversata del Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. Se solo fossimo capaci di pensarci così, miscuglio di genti, forse potremmo raddolcire lo sguardo, perdere un pò di fierezza, imparare a coltivare l’accoglienza come valore. Portiamo cognomi dalle origini greche, normanne, provenzali, germaniche, spagnole, arabe, turche. Cuciniamo secondo ricette antiche utilizzando ingredienti giunti in Italia da tutto il mondo. Troviamo ancora nelle campagne siciliane antiche nenie arabe, chitarre andaluse fra i lucani, musiche celtiche nelle valli piemontesi. Nascoste nella bellezza dei nostri idiomi locali luccicano le parole di mille lingue straniere: qual è la nostra vera identità se non la somma di tante identità?

N° 1La situazione è altrettanto preoccupante in America latina, dove gli Usa puntano a fare tabula rasa di quel che resta dei governi progressisti. Il novecento ha dimostrato senza ombra di dubbio che cosa Washington intende con lo slogan “i problemi dell’America devono essere risolti dagli americani”, trasformando il subcontinente latinoamericano nel “patio di casa”. È iniziato in Nicaragua (1934, assassinio di Sandino, “il generale degli uomini liberi”), poi in Guatemala negli anni ’50 (per difendere gli interessi dell’United Fruits) e sono proseguiti contro Cuba. Due decade dopo in Cile (Allende) e poi fino ai nostri anni in Honduras, Brasile, Argentina, Bolivia e di nuovo Nicaragua (Ortega) e negli ultimi anni specialmente contro il Venezuela. E continuano. Cuba, Nicaragua e Venezuela, sono sempre più nel mirino degli Usa: la “triade della tirannia”, come la definisce il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense John Bolton. Intanto dopo le elezioni del Brasile, del 28 ottobre scorso, ci si interroga se non sia la “fine della Storia” in America latina. Un candidato neofascista o arafa scita, Jair Bolsonaro che viene a “restaurare l’ordine gerarchico naturale” violato dai diritti sociali e umani, sale al potere non grazie alla forza delle armi ma a un consenso popolare. Propugnatore di tutte le sconcezze più reazionarie, dalla tortura alla pena di morte extragiudiziale, dall’omofobia alla subalternità della donna, Bolsonaro piace. Non è solo il Brasile però che trema. Nel resto del continente latinoamericano gli elettori hanno scelto leader conservatori come in Argentina, Cile, Paraguay, Perù e Colombia. Unica eccezione Andrès Manuel Lòpez Obrador che ha vinto in Messico. Il Cono sud dell’America latina corre il pericolo di precipitare – se non ai tempi orribili dell’Operazione Condor condotta dalle dittature militari di Pinochet e Videla – nella tenaglia di un blocco autoritario, neoliberista e subordinato alla politica imperiale degli Usa.N° 2Intanto in America centrale, assistiamo in questi giorni alla “carovana” dei migranti che partiti dall’Honduras, un paese in cui imperano incontrastate povertà e violenza, discendono il mappamondo con i loro bisogni e i loro diritti verso la frontiera Usa, dove li aspettano 5.000 marines schierati per far fronte all’emergenza nazionale.  Non sappiamo come andrà a finire questa storia, però perso per perso, la strada è ciò che li salva. L’un l’altro si nutrono del sogno della terra promessa che non li aspetta ma che li teme. Che li colloca, rabbiosamente, nell’ambito del pericolo. Di quello che è tollerabile solo nella più totale lontananza. “La marcia in America centrale ricorda al mondo che il diritto di emigrare è uno dei diritti fondamentali del nostro tempo, in un mondo segnato da diseguaglianze mai viste prima, da un’inedita facilità di spostamento e da minacce incombenti di natura politica, sociale, ambientale. Non basteranno i marines per fermare il movimento di liberazione incarnato oggi dagli honduregni, salvadoregni, guatemaltechi in cammino: queste persone sono testimoni e protagoniste di un processo di trasformazione che va oltre la lotta del momento” (Lorenzo Guadagnucci). I migranti che cercano di raggiungere l’Europa, così come quelli dell’America centrale, sono vittime di un modello economico fallimentare, responsabile di un’economia di rapina e conseguentemente di povertà e disperazione. Urge rifiutare la politica ostentatamente disumana adottata a livello planetario, dall’Europa agli Stati Uniti, nei confronti dei migranti. Un fenomeno come l’immigrazione non si può reprimere o respingere con i muri e le espulsioni, si deve governare. Criminalizzare la solidarietà verso i profughi non la rafforza tra i “nativi”, ma distrugge anche quella: promuove sospetto, invidia, insensibilità per le sofferenze altrui, crudeltà. Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignità, alla solidarietà. Per questo, è una lotta che ci riguarda, perché il diritto di emigrare è il traguardo che dovrebbe oggi ispirare chi si batte in difesa della democrazia e del principio di giustizia sociale. La libertà di movimento è oggi l’utopia concreta da coltivare per opporsi con la mente e con i corpi a chi sta sfruttando la cosiddetta emergenza immigrazione per trasformare in senso autoritario le già carenti democrazie occidentali. Quella marcia è la nostra marcia.N° 3In Europa, purtroppo, la sinistra si è inabissata, dimenticando la sua radice storica internazionalista, la solidarietà vera e fattiva. Pensiamo solo alla parola “compagno” … Certo è difficile dire oggi questa parola. Non capiscono più in che senso lo dicevamo. È una bella parola ed è un bel rapporto quello tra compagni. È qualcosa di simile e diverso da amici. Amici è una cosa più interiore, compagni è anche la proiezione pubblica e civile in cui si può non essere amici ma si conviene di lavorare assieme. E questo è importante, mi pare.“ (Rossana Rossanda). Così nell’opinione pubblica è passato il messaggio che la lotta politica per il futuro dell’Europa è principalmente attorno all’opposizione tra gli europeisti difensori dell’Europa attuale, che antepone la lotta all’inflazione e la stabilità dei prezzi al diritto al lavoro e al salario subordinando il godimento dei diritti sociali alle disponibilità dei bilanci statali, e gli anti-europeisti difensori della sovranità delle nazioni contro le oligarchie tecno burocratiche dell’Unione europea. Si tratta di una tesi che conviene sia ai gruppi sociali dominanti che hanno costruito e governato l’attuale Europa, sia ai gruppi social nazionalisti, xenofobi, anti-democratici e pro-capitalisti tipo Adf in Germania o Lega e parte di M5S in Italia. Eppure bisogna continuare a battersi per un’Europa democratica (rappresentativa e partecipata) federale sovranazionale, fondata sull’uguaglianza, sulla solidarietà e giustizia sociale che sono l’unica speranza di alternativa alla catastrofe, all’odio, alla paura, al liberismo senza freni. Consapevoli che ci si scontra con un ambiente già largamente deumanizzato, quello che è arrivato a definire reato il soccorso in mare di persone che stanno per affogare; che ha portato a criminalizzare le Ong e tutti quelli che salvano, accolgono, persone che fuggono da guerra, fame, miseria, degrado sociale e ambientale; che ha portato a boicottare il Comune di Riace solo perché è diventato famoso nel mondo come simbolo di accoglienza.N° 4

Deumanizzato nella sua identificazione totale della vita umana con quella del mondo animale, in cui il pesce grosso mangia il più piccolo, in cui le gerarchie di potere sono naturali e si ripresentano senza soluzioni di continuità. La giustizia sociale, i beni comuni, le libertà di espressione, la solidarietà, la difesa delle diversità sono belle parole per anime belle che non fanno i conti con la dura realtà. Secondo questa ideologia la storia umana come quella animale è lotta per la sopravvivenza che determina continuamente “vincitori” e “perdenti”. Da che parte vuoi stare? Dato che vivi una volta sola, che la vita è già piena di stenti e angosce, da che parte vuoi stare? La risposta è scontata. Non per noi però, che vogliamo trasformare in sentimenti duraturi le emozioni che proviamo davanti all’orrore di tanta umanità straziata, e far mutare da questi sentimenti anticorpi di serietà, pensiero critico, consapevolezza e responsabilità, far nascere da essi radici di memoria e ali d’impegno solidale, della solidarietà tenerezza dei popoli.  “C’è dolore. Bussa alla mia porta entra / da tutte le mie fessure mi movimenta / dentro la pietà. Mi confonde. Non accetto. / Non mi consegno a questa solfa di morti. / C’è un assedio di corpi / che lo so lo so sono tutti miei…” (Mariangela Giualtieri). Per tutto questo, quello che vi chiediamo è di dare una mano alla cultura della solidarietà internazionale, perché siamo profondamente convinti che la solidarietà è già politica. Tesserarsi non è solo un gesto di solidarietà, è una presa di posizione controcorrente, è un modo concreto per sostenere il presente e il futuro dell’Associazione Italia-Nicaragua. Viviamo solo del denaro che ci arriva tramite le tessere, cui aggiungiamo molto lavoro fatto gratuitamente e con passione. Non è retorica, non abbiamo nessun altro tipo di finanziamento. È un piccolo miracolo, in questo Paese triste e scoraggiato. Naturalmente chi non s’iscrive non fa nulla di male, ma bisogna sapere che è un gesto di sottrazione, è un guardare altrove, è prendersi una parte e non il tutto. Un tentativo collettivo va fatto in maniera più convinta, alla fine magari ci arrendiamo, ma è meglio arrendersi tutti assieme piuttosto che ognuno per conto suo. Non solo, se il bollettino “Quelli che Solidarietà” può uscire con i suoi sei numeri (ogni volta che arriviamo alla fine dell’anno ci guardiamo indietro e ci chiediamo come siamo riusciti a farcela) è perché ci sono soci che hanno scelto di concedersi il piccolo lusso di versare qualcosa in più del prezzo del tesseramento. Alcuni hanno fatto anche di più. Possiamo soltanto dire grazie. Cercheremo di fare sempre di più e meglio per la nostra piccola grande impresa, di chi crede in una società non escludente, ma giusta e solidale. Parole e azioni che scaldino il cuore e accendano la mente, che dicano di accoglienza, di rispetto della libertà di tutti. È dalla pratica attiva della solidarietà nazionale e internazionale che nasce un nuovo modo di vivere; che può nascere un’alternativa reale, sociale, politica e culturale, al disastro in cui ci ha trascinato la politica attuale. Vi è una sola umanità in un unico mondo vivente, casa comune dell’umanità intera.

Anticipatamente auguri di un sereno Natale e di felice Anno Nuovo con il Nicaragua nel cuore, sempre.

murales 1

NOTTE DI NATALE” (di Eduardo Galeano)

“Fernando Silva dirige l’ospedale pediatrico di Managua. / Una vigilia di Natale rimase a lavorare fino a tardi. / Si sentivano già gli scoppi dei razzi, e i lampi dei fuochi d’artificio illuminavano il cielo, / quando Fernando si decise ad andarsene a casa, dove lo aspettavano per la festa. / Mentre stava facendo un ultimo giro attraverso le corsie per vedere se tutto era in ordine, / sentì d’un tratto un lieve rumore di passi alle spalle. / Passettini di bambagia. / Si volse, e vide uno dei piccoli pazienti che lo seguiva. / Nella penombra, lo riconobbe, era un bambino che non aveva nessuno. / Fernando riconobbe quel viso già segnato dalla morte e gli occhi che chiedevano scusa, o forse chiedevano permesso. / Fernando gli andò vicino e il bimbo lo sfiorò con la mano: / «Diglielo…» sussurrò. «Dì’ a qualcuno che io sono qui.»

N.B.: Fernando Silva, un grande medico specializzato in pediatria, pittore, poeta, uno degli scrittori più innovativi del Nicaragua, purtroppo ci ha lasciato poco più due anni fa, il 1° ottobre 2016 a 89 anni.

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