“Tutti i tunnel hanno una fine”

In ogni luogo si può essere sterminati. Esistono armi cui non si può sfuggire, e poteri assassini disposti ad usare quelle armi contro chiunque. L’umanità è unificata nel segno del dolore e della paura. E questa violenza che dall’alto incombe su tutti, tutti contagia, e dagli eserciti passa alle milizie, dalle milizie alle mafie, e dai criminali ai reietti, dagli emarginati senza speranza alle persone fino a ieri integrate o equilibrate che un giorno il delirio offusca o la sventura abbatte e precipita nella sofferenza più inesorabile e nel rancore che null’altro desidera se non che altri soffrano anch’essi, che anche ad altri sia strappato ogni bene, e di ogni bene il fondamento: la nuda vita. E questa violenza trova sempre un’ideologia, infinite ideologie, che la giustifichino, che la glorifichino; e che effettualmente inducono esseri umani oppressi e infelici, o illusi e avidi, a farsi assassini. I poteri imperiali hanno le atomiche, i proiettili a uranio impoverito, il fosforo bianco, i droni, gli equipaggiamenti robotici. Ma basta un mitra, una pistola, una daga. O anche: un aereo, un camion, un coltello per tagliare il pane che alla bisogna anche le gole squarcia, le nude mani del marito e del fidanzato”.  (“Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo).

Di utopie positive non se ne vedono neanche una. L’America latina rischia la “balcanizzazione” sotto la pressione golpista di Washington. L’Europa, dopo la decisione dei britannici di votare a favore dell’uscita dall’Unione europea (Brexit), sembra destinata alla dissoluzione. In Italia, molto si gioca sulla battaglia referendaria, sui temi istituzionali e sociali. La nostra posizione è chiara: “Nel referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco, votiamo no allo stravolgimento della Costituzione, votiamo no alla deriva autoritaria; difendiamo la democrazia, difendiamo l’ordinamento repubblicano nato dalla resistenza antifascista”. La Costituzione cui ora si tende non è più quella fondata sul lavoro, ma sul capitale. Quella Costituzione del lavoro nacque dal moto morale che suggerì a tanti giovani di allora di porre a rischio la loro vita – e tanti la persero – per la causa della libertà e della giustizia sociale. Di qualcosa di simile, ma senza quel tributo di sangue, avremmo bisogno adesso.Foto 1In America latina siamo alle prese con un tentativo di riconquista del potere non realizzato più come accadeva decenni fa con golpe o interventi militari americani, ma con l’utilizzazione di strumenti istituzionali, politici, giudiziari e sociali, accuratamente preparati e messi sotto controllo. In Brasile, attraversato da una crisi economica, politica e morale – è in corso un processo “stravagante” (procedura di impeachment) contro la presidente eletta, Dilma Rousseff, che ricorda quanto accadde negli anni scorsi in altri due paesi dell’America latina, Honduras e Paraguay: la strategia del “golpe parlamentare”, messo in atto contro Manuel Zelaya e contro Fernando Lugo. Evidentemente la strategia di Washington preme per minare dall’interno l’Alleanza Bolivariana per le Americhe destabilizzando in particolare il Venezuela (custode delle più grandi riserve di petrolio al mondo), che guida le alleanze solidali sud-sud. Il 7 giugno scorso ci siamo sono stretti attorno al Venezuela in una sentita manifestazione: La difesa del Venezuela bolivariano è la difesa dei nostri diritti!” che ha coinvolto centinaia di partecipanti, numerose associazioni e personalità: “Insieme, aspiriamo ad un futuro di pace, sovranità, multilateralismo, autodeterminazione e libertà dei popoli”.Foto 2Se l’America latina rappresenta, ancora, un progetto politico solidale, lo stesso non possiamo dire dell’Unione europea. Nelle sue istituzioni vi è una “dialettica” tra un progetto neoliberista che privilegia il mercato e un progetto securitario che rappresenta l’Europa come comunità politica assediata, da proteggere controllando i confini. Se si scelgono profughi e migranti come capo espiatorio dell’impoverimento in atto e della crisi economica, inevitabilmente si finisce con il portare acqua ai nazionalismi ed agli istinti peggiori. Sono la rigidità dottrinaria della governance europea (da noi la mostruosità del vincolo del fiscal compact è finito nella Costituzione) e gli interessi finanziari che la ispirano a gonfiare le vele dei nazionalismi. La globalizzazione dell’economia impone alla democrazia di costruirsi nei grandi spazi. Non c’è alcun spazio per l’autonomia politica delle piccole nazioni; più una nazione è piccola più è impotente. Solo se sono continentali, questi spazi, possono fronteggiare il neoliberismo, perché è da questa stessa dimensione che la versione attuale del capitalismo esercita la sua dominanza sulla condizione umana. Non a caso la Gran Bretagna lascia l’Europa, dopo esserne stata blandita e favorita. La Grecia decide di rimanervi nonostante le sanguinose impostazioni subite. Ma è proprio lì, in quello scontro di un anno fa tra Tsipras e Bruxelles (braccio armato di un neoliberismo tanto più feroce quanto incapace di offrire speranza per il futuro), che la governace europea e le miserevoli socialdemocrazie che ne assecondavano scodinzolanti le scelte, cominciavano a mettere in circolazione i germi che lavorano alla disgregazione dell’Unione.Foto 3Il problema, è come ricostruire l’Ue su basi completamente nuova. Un’alternativa vera, fondata su pace, solidarietà e cooperazione, potrà nascere e crescere solo dal basso, ritornando all’originario manifesto di Ventotene, ma in un contesto completamente mutato. Risollevare le sorti sulla base di alcuni elementari contenuti: fine della diseguaglianza economica, una nuova politica industriale, accoglienza e progetto non respingimento dei migranti. Utopia? Certo. Se non sappiamo prima concepirlo, e poi progettarlo, il mondo di domani non riusciremo certo a realizzarlo. In effetti, non sogniamo un mondo migliore, non sogniamo la pace, non sogniamo proprio nulla, negli ultimi tempi abbiamo solo incubi, Eppure, come sostiene la filosofa ungherese Agnes Heller: “Tutti i tunnel hanno una fine. La questione è solo quanto tempo si sta nel tunnel, come è fatto il tunnel, che cosa riusciamo a fare lì dentro, come riusciamo a mantenere certi valori. È questo il problema. Come possiamo modificare il tunnel? Come possiamo modificare la possibilità di uscirne?”. Noi crediamo ancora nel cammino della solidarietà: “Il cammino è incominciato quando / una voce ha risposto a una voce / una mano ha stretto una mano / un passo ha seguito l’orma di un passo / e una voce mano passo camminavano avanti. / Quando una voce ha gridato “fratello” / ed è arrivato un fratello / quando ha chiamato “compagno” “compagna” / e una piazza si è riempita di gente. / La lotta è speranza del futuro / poi il futuro è arrivato / ancora le voci si chiamano / si ascoltano i passi, le mani si stringono insieme. / Nessuno dei vecchi / è ancora un’ombra dispersa nel sole / e sulla strada sempre segnata di orme / arrivano i giovani e portano nuove bandiere / i giovani arrivano e portano le nuove parole” (Roberto Roversi).Foto 4Vogliamo, infine, ricordare un compagno, registra e critico cinematografico, Giuseppe Ferrara scomparsa il 25 giugno scorso all’età di 83 anni. Praticamente non ne ha parlato nessuno dei grandi mezzi di comunicazione, e questo conferma il pessimo stato di salute della nostra informazione. Nel 1969 aveva fondato la cooperativa Cine 2000 per promuovere e produrre opere altrimenti bloccate dai condizionamenti dell’industria e del potere.  Da “Il sasso in bocca” a “Cento giorni a Palermo” entrambi sulla mafia, da “Faccia di spia” sul criminale ruolo della CIA a “Il caso Moro”, da “Giovanni Falcone” a “Guido che sfidò le Brigate Rosse”, non solo con lo spirito di fare cronaca, ma di affrontare il complesso della Storia. Come Associazione Nicaragua non possiamo non ricordare il documentario “Contra-diction: il caso Nicaragua” del 1987. La locandina riportava una famosa frase dal messaggio del Tribunale Permanente dei Popoli: Il Nicaragua è pericolo perché esporta un esempio … Non si attacca il Nicaragua perché non è democratico ma affinché non lo sia”. Toccante ricostruzione del ritorno alla libertà, all’indipendenza e alla democrazia del popolo nicaraguense dopo la feroce e prolungata dittatura somozista; la difficile ricostruzione sandinista ostaggio dei mercenari contras, appoggiati dagli stati Uniti di Ronald Reagan. Nel finale del documentario, accanto al dolore, alle contraddizioni, alla guerra, alla morte, esplode, oltre alla volontà di “No venderse ni rindirse” (Non vendersi né arrendersi), un’altra caratteristica dello spirito “nica”: la “alegria”, la sete di pace.

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