Due utopie permangono. A noi la scelta.

Ci alziamo la mattina e ogni giorno dobbiamo fare i conti con la percezione di un mondo impazzito, di un permanente disordine mondiale e di una guerra di tutti contro tutti (homo homini lupusTomas Hobbes) dove l’uomo è lupo per l’altro uomo. Siamo entrati da anni nell’epoca della  “guerra al terrore”, del fenomeno mistico-militare di certo radicalismo islamico tra cui spicca l’Isis, del ritorno di nazionalismi parafascisti sullo sfondo di migrazioni epocali di masse dal sud del mondo, per ultimo nell’era Trump e di un altro presidente, Duerte delle Filippine, un politico che invita la popolazione a farsi giustizia da sé per liberare il paese da trafficanti. Ci alziamo ogni giorno ed è  tutt’uno  con la confusione patinata che ci è dato vivere, la guerra incivile americana – per ora solo incivile – che nasconde il sordo rumore dei conflitti armati disseminati in modo bipartisan dall’Occidente e che scandiscono il tempo contemporaneo, e dei quali nessuno parla più; e la disperazione concreta di milioni di esseri umani in fuga dalle nostre guerre e dal modello di sviluppo diseguale, da rapina che abbiamo instaurato sul pianeta. Il trionfante capitalismo contemporaneo ha pervaso il pianeta dividendo gli ex avversari Russia e Cina nonché gli sfruttati dispersi e divisi, ripristinando forme di dipendenza di tipo schiavile e semi-schiavile anche all’interno delle aree più avanzate, traffico di esseri umani, un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoro conquistati, in Occidente, grazie alla novecentesca contrapposizione di sistema.

Foto 1Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri” scriveva Antonio Gramsci con una formula citata spesso in questo periodo. I mostri sorgono quando il campo della battaglia politica si struttura attorno a questioni identitarie, di appartenenza nazionale, di xenofobia, invece che di democrazia e di giustizia sociale. Donald Trump ha già vinto prima delle elezioni: la liberazione delle peggiori opinioni e dei più cattivi proponimenti aveva già oscurato le stelle e colorato le strisce di una bandiera che sarà difficile lavare. Voteranno fra poco in Francia ma Marianne Le Pen ha già vinto, spostando a destra sia la mentalità della base che la strategia dei vertici. Hanno già vinto in Italia, ancor prima di sapere la data e la modalità delle prossime elezioni, i Salvini e le Meloni, anche se resteranno minoranze accerchiate dai grillini parlanti e dalle cicale cantanti dell’ottimismo riformatore: i leghisti o i fascisti non sono più istigatori ma soltanto ricettatori e perfino correttori di un razzismo e di un egoismo che sorge spontaneo nel corpo della nazione e si propaga come un contagio. Se agli italiani più poveri non viene garantito il diritto alla casa, la colpa non è dei palazzinari, della corruzione, ma del fatto che si mettono nelle liste per le case popolari anche gli immigrati che ne hanno diritto. Se il lavoro è più scarso o precario, con diritti sempre più messi in discussione, la colpa non è delle delocalizzazioni, delle imprese che tendono a fare sempre più profitto sulle spalle dei lavoratori, del fatto che si investe in finanza e non in progetti produttivi, ma degli immigrati che “vengono a rubarci il posto di lavoro“. E viene spontaneo pensare che gli impresari della paura, i vari difensori del “prima gli italiani” facciano questo gioco proprio per garantire gli interessi dei garantiti e non per difendere la vita e la dignità dei più deboli, anche di quelli italiani.Foto 2Non dobbiamo far finta di non vedere, dobbiamo aprire gli occhi sull’immondo che incombe su di noi: questo complesso di superiorità razziale profondamente radicato nelle società occidentali – a causa di un’eredità nauseabonda non problematizzata (quella del colonialismo) – e palesato quotidianamente nei confronti di chi è “diverso”. Dobbiamo aprire gli occhi sulla cancrena del razzismo che le politiche migratorie non fanno che alimentare attraverso l’equazione che stabiliscono nelle menti in modo insidioso: migranti & giovani di origine straniera = pericolo per le società europee, ovvero terrorismo, criminalità organizzata, delinquenza, etc. “Ma laddove voi vedete un “negro” io vedo un ragazzo, vedo la promessa, il desiderio, il soffio, il sogno, il coraggio e l’umanità che si sono spenti in voi e che segretamente voi invidiate” (Dènètem Touam Bona). Tutto questo richiede la messa in discussione del vecchio modello di sviluppo capitalistico, basato sul trio finanza-petrolio-armi, che deve essere rovesciato perché insostenibile sul piano sociale (spaventose diseguaglianze), ambientale (rapina e distruzione degli ecosistemi), esistenziale: la crescita per la crescita non ha più senso, se non per una estrema minoranza di super ricchi. Le contraddizioni di questo modo di produzione e distribuzione del reddito, di questo uso e abuso di risorse naturali, sono diventate potenzialmente esplosive, ma potrebbero trasformarsi in una catastrofica implosione se non ci sarà una forza politica capace di trasformare lo sfruttamento, la sofferenza, la disperazione in un progetto credibile di un’altra società.

Foto 3C’è un enorme lavoro da fare nella società per tradurre la disperazione in un protagonismo politico capace di dare al conflitto una prospettiva; per superare il maledetto isolamento individualista che ci ha tutti ammalato, per ritrovare il collettivo, senza il quale non resterebbe che il malinconico brontolio solitario. Solo la ripresa di una iniziativa politica e di movimento per la trasformazione radicale del potere e del modello di sviluppo qui, nelle cittadelle avanzate del capitalismo, in Occidente, potrà sostenere realmente l’esperienza latinoamericana del “socialismo del XXI secolo”. Dove si misura e si scontra un problema di rideterminazione dei rapporti tra democrazia nazionale e poteri economici sovranazionali. In America latina, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, è in auge un ampio movimento politico e culturale che su questa ipotesi di ricostruzione dello Stato-nazione, come spazio dell’agibilità democratica e come elemento di rottura degli assetti di potere finanzcapitalistici, sta costruendo le propri fortune.

2017Contro questo è in marcia un processo di destabilizzazione, variamente modulato a seconda dei vari paesi, ma con modalità simili. L’abbiamo veduto anche nelle recenti elezioni di febbraio in Ecuador. Dove in gioco non c’era solo l’elezione del presidente, ma due modelli di paese. Da una parte un modello di integrazione sud-sud, la “rivoluzione cittadina” che, pur con tutti i limiti di un’alleanza ibrida, il calo del prezzo del petrolio e il devastante terremoto subito, negli otto anni di governo di sinistra di Correa ha ridato dignità al paese. Dall’altra, la ricetta dei banchieri e degli imprenditori, con il ritorno alla subalternità a Washington e alla logica del “dio mercato”. Il prossimo 2 aprile il ballottaggio tra Lenin Moreno che si è fermato al 39,5% dei voti e il candidato delle destre di Alianza Pais. In fondo, anche in un’epoca di gravi ferite come la nostra, in cui i poteri economici, piccoli o grandi che siano, trovano burro sempre più molle in una società disorganizzata e frammentata di fronte a un sistema tanto violento quanto subdolo, due utopie permangono: quella della fratellanza, dell’uguaglianza, della solidarietà e quella dell’egoismo. A noi la scelta.

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