UNA TESSERA PER IL 2023!

Mala tempa currun, letteralmente “corrono brutti tempi”. L’invasione della Ucraina ha riportato la guerra in Europa 23 anni dopo quella scatenata dalla Nato nella ex-Jugoslavia nel 1999. Abbiamo assistito all’uso politico della storia con l’utilizzo di “parole” cui non corrispondono più le “cose” che dovrebbero indicare. L’invasione russa diventa “operazione speciale di de-nazificazione”, la difesa militare dell’esercito ucraino (con armi e personale militare della Nato) diventa uguale alla Resistenza di Stalingrado contro i nazisti e più in generale viene assimilata al fenomeno globale e costituente della lotta partigiana degli anni ’40; coloro che arruolandosi nelle milizie paramilitari di Kiev fino a pochi mesi fa sarebbero stati indicati con lo stigma di “foreign fighters” diventano volontari di brigate internazionali, come se il battaglione Azov fosse il corrispettivo dei combattenti repubblicani nella Spagna del 1936. Non c’è bisogno di essere fini strateghi per comprendere che questa non è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. Questa è una guerra mondiale. Qualsiasi analisi porta a queste conclusioni: siamo di fronte ad una guerra mondiale che (per ora) si combatte sul terreno ucraino. Una guerra mondiale con due protagonisti: la Russia di Putin e gli Usa con Nato-Ue. Poi all’interno si combattono altre guerre. Il conflitto tra nazionalismo grande-russo e nazionalismo ucraino ha origini e svolgimento di crescente auto-alimentazione con carattere speculare. Sono ambedue il frutto della necessità delle oligarchie dominanti nella Federazione Russa ed in Ucraina di trovare una legittimazione forte su un terreno che esclude riflessione e lotta sulla questione sociale, sulla democrazia sociale. Un terreno dove il russo, l’ucraino poveri, possano sentirsi uguali ai loro oligarchi. Questo è l’unico progetto di uguaglianza che quelle oligarchie possono proporre ai popoli di cui sono dominanti più che governanti. Così, mentre la guerra in Ucraina si è impadronita velocemente delle menti, ci sono altre guerre e altre aggressioni di cui il mondo non parla. Quella che comunemente abbiamo sempre chiamato pace, è una pace armata. Lo dimostrano gli altri 59 conflitti nel mondo, che continuiamo a non guardare, per facilità o interesse. La guerra è il luogo e il tempo della morte, quella in Ucraina si sta dimostrando atroce come tutte le guerre: donne stuprate come arma da guerra, fosse comuni, civili massacrati. Tra due comunità prossime dal punto di vista etnico, linguistico, religioso, geografico, come quella russa e ucraina, hanno luogo orrori che abbiamo visto in tutte le guerre. Perché quello fanno le guerre, in Ucraina, in Siria, in Yemen, in Somalia, lo hanno fatto  in Iraq, Bosnia, Libia, Cecenia, Afghanistan, Algeria, ecc., per non parlare dei conflitti armati a bassa intensità, che però i morti li fanno lo stesso. Che dire della Palestina, occupata da decenni, ferita aperta nel Medio oriente, che non suscita alcuna solidarietà da parte dei governi occidentali che continuano a dare a Israele carta bianca. Anche questa guerra cruenta in Europa, non è più grande, più mostruosa, più violenta e inutile di tante altre, è solo più vicina a noi. Ha critto Alessandro Portelli: “La questione è se la nostra umanità è abbastanza vasta da poter avere empatia con tutte. Siamo capaci? Perché se no, l’indifferenza per lo Yemen segna un cerchio di fuoco attorno al valore di parecchi (non tutti!) dei proclami di solidarietà per l’Ucraina (e viceversa). Forse il problema è che lo Yemen non sta “cuore dell’Europa”, né geograficamente né sentimentalmente. E allora la domanda è: quanto è grande, e fin dove arriva il nostro cuore?”. Quella dello Yemen è una guerra che oggi non fa più notizia così come la guerra in Somalia, nella Repubblica democratica del Congo, nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia, ecc.

Non a caso, delle altre guerre nel resto del mondo, non amiamo pubblicare le foto dei civili morti perché le bombe, quasi sempre, le abbiamo prodotte, vendute e sganciate noi o qualche dittatore utile nostro amico. Secondo i dati forniti da “L’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo “ (www.atlanteguerre.it), sono 34 le guerre nel mondo a cui si aggiungono una quindicina di aree di crisi accesa, non ancora diventate guerra. È l’Africa ad avere il primato con 12 Paesi in guerra e 7 aree di crisi. Gli scenari sono infiniti. Spesso sembrano vecchi come il mondo. È il caso della guerra infinita, dura dal 1948, fra israeliani e palestinesi, con questi ultimi ormai di fatto prigionieri nei lembi di terra che i coloni israeliani non hanno occupato e vittime spesso degli scontri con l’esercito israeliano, durissimo nel reprimere ogni forma di protesta o rivolta. Discriminazione, spossessamento, repressione del dissenso, uccisioni e ferite: tutto fa parte di un sistema che è disegnato per privilegiare le gli ebrei israeliani alle spese delle e dei palestinesi. Ciò equivale all’apartheid, secondo la denuncia di Amnesty International (febbraio 2022), ed è proibita dal diritto internazionale,). I dati ci raccontano che circa metà della popolazione mondiale è interessata e colpita da una qualche guerra, che non sia orrore, sangue, violenza, distruzione. Ogni anno, sono centinaia di migliaia i morti delle guerre che dimentichiamo. Questo silenzio genera mostri e ingiustizie. Come nel modo che abbiamo di trattare i profughi, chi scappa dalla guerra. In Europa, gli ucraini sono stati immediatamente accolti, riconoscendo il loro status di persone in fuga dalla guerra. Sono bastati pochi giorni per il riconoscimento ed è stata una grande cosa. Ma in Italia ci sono decine di migliaia di persone fuggite da altre terribili guerre che attendono da mesi il riconoscimento dello status di rifugiato. Una “non vita” che li fa restare eternamente agganciati al fantasma della guerra che hanno lascito e impedisce ogni forma di integrazione. Sappiamo che occorre difendere il diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignità, alla solidarietà. Sappiamo che occorre difendere tutto quest’unico mondo vivente che è l’unica casa comune dell’umanità intera, quest’unico mondo vivente, naturale e storico, materiale e spirituale, di cui tutte e tutti siamo insieme parte e custodi. Sappiamo che occorre contrastare e sconfiggere tutti i poteri assassini. Sappiamo che occorre contrastare la violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza. Sappiamo che solo la nonviolenza può salvare l’umanità dall’orrore e dalla catastrofe. Sappiamo che occorre sempre agire per salvare tutte le vite: è il primo dovere, e il primo diritto. Sappiamo che una vera cultura della pace è qualcosa di più complesso e duraturo della mera assenza della guerra. Per questo, va inventata la nuova forza capace di farci vivere subito in un mondo nonviolento, persino gentile. In Italia in questo momento c’è un movimento per la pace (manifestazione del 5 novembre scorso) che guarda all’Ucraina cercando di coniugare la solidarietà umanitaria con un progetto politico: negoziato subito, cessate il fuoco, conferenza di pace. Tornare a progettare la necessaria riunificazione dell’Europa dall’Atlantico agli Urali. Famoso slogan degli anni ottanta “Per un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali”, vale a dire un’Europa autonoma dai due blocchi. Il contrario di quanto fu scelto di fare alla caduta del Muro, le cui conseguenze sono visibili anche in questa guerra attuale.

In Italia, in questo momento, abbiamo un governo di destra che più che governare l’Italia, vuole cambiarla.  Nel discorso inaugurale di Giorgia Meloni, abbiamo assistito a una spavalda cavalcata su Dio, patria, famiglia, sovranismo, sicurezza, migranti, dittatura sanitaria, trivellazioni, sport contro le devianze, più carcere per tutti, autonomia differenziata combinata con la riforma presidenzialista. Totale incondizionato sostegno all’Ucraina e alla Nato, nessun riferimento alla pace, al pericolo nucleare. Un governo atlantista e guerrafondaio. Del resto, le radici profonde di questa destra riemergono oggi nel loro identitarismo classista che dichiara di “non voler disturbare” industriali e ceti proprietari; di promuovere la guerra contro le donne che non vogliono omologarsi all’essere soltanto “madri & cristiane”, come urlato da Giorgia Meloni nei comizi filo-franchisti di Vox in Spagna. Così, li neoliberismo viene coniugato con l’esaltazione del nazionalismo, non sono più gli ebrei la peste (anzi totale appoggio al governo israeliano), ma tutti quelli che non fanno parte del mondo Occidentale, ormai circondato dai barbari di pelle nere, gialla e, soprattutto, poveri disgraziati che cercano disperatamente di arrivare in Europa.

Ci aspettano tempi difficili ma noi ci siamo e intendiamo continuare ad esserci. Noi minuscola Associazione italia-Nicaragua nata a sostegno della rivoluzione popolare sandinista in Nicaragua, che il 19 luglio 1979 abbatté la dittatura somozista e che per almeno 10 anni fu una delle esperienze di liberazione più luminose del Novecento. Poco ci piace del Nicaragua attuale, di un partito il Frente Sandinista che da libertario si è fatto partito-Stato sotto il ferreo controllo della coppia Daniel Ortega e Rosario Maurillo. Crediamo che la trasformazione sociale di un Paese non può essere il risultato della politica estera di un altro Stato e che è suicida affidarsi agli Stati Uniti di Biden per sperare in un futuro incoraggiante per il Nicaragua. Crediamo che  il futuro del Nicaragua sia elusivamente nelle mani del popolo nicaraguense, in particolare nella base del Frente Sandinista, dei tanti che ancora non sono stati cooptati nella nuova religione ufficiale, che sono sconcertati dalla deriva attuale (come lo erano già prima del  2018), a loro spetta il compito storico di lottare su due fronti: contro la destra becera e troglodita, finanziata da Washington, impedendole di trasformarsi in un movimento di massa, o peggio ancora di innescare una folle guerra civile, e contro chi ha tradito gli originari ideali di Sandino, promettendo a milioni di persone di realizzarli … mañana, non oggi. È necessaria quella trasformazione mille volte promessa ma mai iniziata, mettendo in soffitta le fantasie complottiste che pretendono di spiegare tutto senza spiegare nulla, recuperando la storia e rifondando il Frente Sandinista sulla sua tradizione ideale, per poter avviare la trasformazione socio-politica ed economica del Paese a partire dalla creazione di istituzioni realmente dirette dal basso, da quel Pueblo Presidente che oggi è solo uno slogan del tutto vuoto di sostanza. Non dovrebbe essere poi così difficile accettare la critica all’attuale governo nicaraguense, senza però giustificare l’interventismo Usa. Non è vero che quelli che criticano sono tutti venduti all’imperialismo yanqui. è una scelta meno facile e rassicurante di chi vede tutto bianco o tutto nero, senza sfumature; finendo così con il rompere le uova nel paniere di entrambi e se alla fine non ci rimarrà neanche una tessera, pazienza.

Intanto vi chiediamo di dare una mano ai progetti di solidarietà con il popolo del Nicaragua. La solidarietà è fatta di tante piccoli azioni concrete, come continuare a sostenere le attività per i piccoli pazienti del reparto di oncologia pediatrica dell’Ospedale La Mascota di Managua. Un progetto che ha un respiro internazionale, iniziato più di 35 anni fa dall’Associazione svizzera per l’aiuto medico al Centro America (AMCA), in collaborazione con il Comitato Maria Letizia Verga di Monza. Entrambe determinate a mantenere il proprio impegno per il finanziamento delle attività necessarie a garantire le migliori condizioni di cura possibili ai bambini oncologici che vivono in Nicaragua. In particolare si proseguirà con: La ristrutturazione del laboratorio diagnostica e farmacia, rifacimento Day Hospital padiglione B & completamento reparti degenza; Il finanziamento della retribuzione dell’assistente sociale che assiste le famiglie dei bambini in cura; Il finanziamento di borse di studio per la specializzazione dei medici dell’ospedale. Vi chiediamo, consapevoli dell’emergenza finanziaria aggravata dalla pandemia, di tesserarvi perché non è solo un gesto di solidarietà, è un modo concreto per sostenere il presente e il futuro dell’Associazione. Le tessere sono segni forti di fiducia. Viviamo solo del denaro che arriva con le tessere e il 5×1000, cui aggiungiamo il lavoro gratuito e la passione. Non è retorica, non abbiamo altro tipo di finanziamento. È un piccolo miracolo, in questa Italia triste e scoraggiata. Chi non s’iscrive non fa nulla di male, ma bisogna sapere che è un gesto di sottrazione. Crediamo che un tentativo collettivo vada fatto, alla fine magari fra un anno ci arrendiamo, ma è meglio arrendersi tutti assieme piuttosto che ognuno per conto suo. Non solo, se il bollettino “Quelli che Solidarietà” (con i suoi costi, dalla stampa al confezionamento busta cartacea, alle spese postali spedizione) può uscire con i suoi sei numeri (ogni volta che arriviamo alla fine dell’anno ci chiediamo come siamo riusciti a farcela) è perché ci sono soci che si concedono il piccolo lusso di versare qualcosa in più del tesseramento. Certo esiste la possibilità di passare alla pubblicazione on-line, ma la nostra è una difesa convinta dell’utilità di un testo cartaceo. Il mezzo usato non è indifferente e la velocità cui siamo indotti, l’usa e getta del mondo digitale (internet tutto brucia, pensieri e dimensione interiore) sia uno dei fattori di crisi messi in discussione dal coronavirus. Non siamo contrari ai social, alle nuove tecnologie, da anni si è aggiunto al bollettino cartaceo il sito blog (anche mantenere attivo un sito online ha i suoi costi). Cartaceo e digitale costituiscono due modalità diverse ma complementari di essere Associazione Italia-Nicaragua. Ringraziamo tutti quelli che hanno continuato a seguirci con affetto e fiducia, nella nostra piccola grande impresa, di chi crede in una società non escludente, ma giusta e solidale. “Noi non contiamo niente ma dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi” (Santa Teresa di Lieseux). Perché vi è una sola umanità in un unico mondo vivente, casa comune dell’umanità intera.

Anticipatamente auguri di un sereno Natale e di felice Anno Nuovo con il Nicaragua nel cuore, sempre.

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