EDITORIALE: TEMPI PRESENTI (LUGLIO 2023)

Anche Gerard Lutte, psicologo e educatore di strada, un pezzo importante della chiesa di base del secolo scorso, ci ha lasciato in questa torrida estate. Lutti e malanni inevitabilmente ci stanno rendendo così fragili da rendere difficile prendere parola sul mondo. La notizia della sua scomparsa ci è giunta troppo tardi per ricordarlo degnamente in questo numero. Lo faremo nel prossimo, per l’affetto che abbiamo nutrito per lui ma anche per il fondamentale contributo che ha dato con articoli e libri alla conoscenza e comprensione del mondo centramericano, in particolare del Nicaragua e del Guatemala; oltre che per aver promosso iniziative mirate e concrete di solidarietà internazionale dal basso. Ha lavorato con i giovani sandinisti in Nicaragua, sua la pubblicazione “Quando gli adolescenti sono adulti… I giovani in Nicaragua”, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; ed ha fondato in Guatemala il “Movimento dei ragazzi e delle ragazze di strada” (Mojoca), attivando in Italia ed in Belgio, del quale è originario, “Amistrada – Rete di amicizia con i ragazzi e le ragazze di strada del Guatemala”. La solidarietà è un valore e un modo di essere e di vivere con gli altri, l’agire assieme per un mondo più giusto, per il bene comune in ogni angolo della Terra. Un valore/dovere così come sancito nell’articolo 2 della nostra Costituzione che afferma: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Un articolo che, posto nella sezione dei “Principi fondamentali” della Repubblica, sancisce l’inviolabilità dei diritti umani e il dovere inderogabile della solidarietà. Quindi proclama un binomio inscindibile: diritti e doveri, senso di umanità e solidarietà. Per questo abbiamo ritenuto opportuno versare un piccolo contributo, come Itanica Viterbo, a favore delle località dell’Emilia Romagna colpite dalle inondazioni del 16 e 17 maggio scorso, ed abbiamo scelto a Castel Bolognese la Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” che ha subito ingenti danni. Non abbiamo sottratto nulla ai fondi raccolti per il progetto La mascota in Nicaragua, semplicemente ciascuno a messo mano alle proprie tasche ed ha dato quello che ha potuto; perché anche un piccolo gesto può costruire qualcosa di grande.  Intanto per quello che riguarda gli alluvionati sono stati lasciati soli. Molte famiglie sono sfollate e chi è tornato a casa ancora aspetta gli aiuti del governo. Con colpevole e ingiustificato ritardo il governo ha nominato il generale Francesco Paolo Figliuolo commissario per gestire la ricostruzione della Emilia Romagna.

Il nostro continua ad essere un tentativo per reagire al naufragio della solidarietà che purtroppo non riguarda solo la società italiana, ma ha una dimensione mondiale. “Bisogna riconoscere che non siamo stati capaci di costruire dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente questa sconfitta, ma ogni guerra è una sconfitta della politica e della fede. Oggi dovrebbe stare al centro di tutto la questione: come interrompere la spirale delle violenze? Come arrivare a un negoziato (che si fa sempre col nemico), che non sia una resa per l’aggredito e un’imposizione dell’aggressore? Questa è la domanda politica essenziale. Occorre fermare le guerre! Fermare la militarizzazione(N.d.R.: nel 2022 la spesa militare europea è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla Guerra fredda) – che distrugge la politica. Garantire a tutti almeno la liberta di vivere, di non morire per guerra. È vero che l’Ucraina ha diritto all’autotutela, come scrive la Carta dell’ONU, ma è altrettanto vero che tutte le nazioni hanno il diritto e dovere di fermare le guerre, di intervenire in modo ampio e massiccio soprattutto perché sia Russia che Ucraina non possono vincere la guerra che è diventata mondiale (come tante altre del resto), e rischiosissima per il mondo che si sta sempre più armando e disumanizzando. Il riarmo mondiale in atto, in cui l’Italia partecipa, rischia di risucchiare tutti nel gorgo di uno scontro mortale, rassegnati all’idea che l’umanità possa ormai costruire la pace soltanto sotto l’ombrello della Bomba, cioè delle armi della distruzione assoluta e reciproca. Fino alla follia estrema che può ma non deve darsi in un tempo in cui nessuno è più in grado di vincere le guerre e tutti, certamente, le perdono con conseguenze senza fine atte a preparare nuove guerre” (Sergio Paronetto, di Pax Christi). 

Naufragio della solidarietà, che è poi quello delle relazioni umane, davanti al dramma dei migranti. Ogni giorno notizie di morti nel Mediterraneo nella pressoché totale indifferenza di molti. Già prima di aver toccato i fondali marini le decine di migliaia di migranti (i senza terra) annegati nel mediterraneo sono sprofondati nella nostra apatia.  Di fatto non li consideriamo esseri umani, perché l’essere umano è in eclissi dentro di noi. Lo capiremo meglio (e sarà molto tardi) quando la stessa indifferenza colpirà dei nostri cittadini e noi stessi. Le guardie costiere, fedeli al loro nome, sono diventate guardiani della nostra atarassia e sempre di più guardiani della morte, lasciata in pace a fare il suo lavoro. Le leggi del mare sono tramontate: nessuno soccorre a priori i naufraghi. Che muoiano se si trovano di fuori dalle “linee guida”. Del resto la linea prevalente sulle migrazioni della “fortezza Europa” non è di accogliere chi arriva, ma di impedire con ogni mezzo gli arrivi.  “La nostra storia e cosparsa di odio, conflitti distruttivi, genocidi. L’odio per il nemico ha motivato, e tuttora motiva, l’atrocità e il sadismo. Tuttavia, come Hanna Arendt ha avuto la chiaroveggenza di dire, la più temibile fonte di atrocità è l’indifferenza. Uccide senza rumore e senza sangue, cancella le esistenze umane con più efficacia della gomma che cancella le parole scritte su un foglio con la matita. Invano Arendt ci ha ammonito del pericolo, il diniego della malattia che aveva fatto strada tra di noi ha prevalso. Siamo convinti che le catastrofi siamo legate ai drammi e ai patemi d’animo, così non ci accorgiamo che il peggior nemico per la nostra esistenza viene dall’anestesia. Senza dolore e senza sconvolgimenti emotivi nulla, pensiamo, può essere distrutto. Siamo delle talpe che, come formiche instancabili, scavano il terreno sopra le loro teste, ignare del crollo che potrebbe seppellirle” (Sarantis Thanopulos).

È un bilancio amaro, sentiamo tutto il peso delle sconfitte. Per fortuna, i giovani hanno meno sconfitte sulle spalle e più energie in corpo. Eppure resta in noi la certezza che vale la pena fare qualcosa a prescindere come andrà a finire. Non si dica che di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno: se non si parte almeno da buone intenzioni all’inferno si finisce inesorabilmente. Anzi, vi si abita già. Scriveva il grande Luigi Pintor: “Contano più che mai le intenzioni. Se fosse per i risultati non rifarei nulla di quello che ho fatto e non fatto. Prefirirei di no. Ma se guardo alle intenzioni è un altro discorso. La diceria che di intenzioni è lastricato l’inferno è maligna. Deludenti ed effimeri sono gli esiti. I buoni proponimenti sono invece un polline che non fiorisce mai, ma profuma l’aria”. È difficile essere ottimisti in una società in cui l’Io ha accantonato il Noi. Eppure di questo Noi abbiamo estremo bisogno oggi in questi tempi crudeli, per tornare umani.

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