Libri: America Latina avanzata de los de abajo

Se l’America è la regione del mondo in cui il tentativo di superamento del capitalismo
neoliberista ha più possibilità di successo, tale trasformazione non potrà mai avere luogo senza la decisa azione politica de los de abajo, quelli che sono in basso, cioè le forze popolari, i movimenti sociali.
Lo dimostra, in maniera tanto chiara quanto efficace, il libro America Latina, l’avanzata de los de abajo, curato da Aldo Zanchetta con la collaborazione di alcuni protagonisti ed esperti, edito da Massari editori e dalla Fondazione Zanchetta (Lucca 2008, pp. 414, €. 20,00).

Il libro (con presentazione di mons. Samuel Ruiz, prefazione di Adriano Zamperini, docente alla Facoltà di Psicologia all’Università di Padova, e introduzione dello scrittore uruguayano Raùl Zibechi) fa seguito a quello pubblicato nel novembre 2006 con il titolo America Latina, l’arretramento de los de arriba, che analizzava le conseguenze dell’applicazione generalizzata di politiche neoliberiste imposte, con le necessarie complicità locali, dai detentori del potere a livello mondiale, los de arriba, quelli che stanno in alto.
È in risposta a tali politiche che sono nate quelle nuove forme di lotta politica dal basso su cui si concentra questo secondo libro e che Aldo Zanchetta dedica “alle migliaia e migliaia di militanti sconosciuti che hanno resistito e resistono alle oppressioni dei poteri di diversa natura e in particolare a quelli che hanno pagato e pagano ogni giorno con la vita la loro fede in un mondo più degno e dei quali la storia non tramanderà il nome”.
Tuttavia, sottolinea Raùl Zibechi “dopo vari anni di offensiva de los de abajo”, i movimenti sociali latinoamericani “stanno attraversando un periodo complesso”: oggi “a determinare l’agenda politica della regione non sono più i movimenti”, ma i governi di segno progressista e di sinistra, rispetto ai quali i movimenti incontrano difficoltà crescenti a prendere posizione. Ne offre un esempio significativo il Brasile di Lula, la cui decisione di allearsi all’impero nordamericano sul tema della produzione di agrocombustibili è destinata a diventare “fonte di nuovi e poderosi conflitti con i Sem terra, ma anche con gli indigeni, con i piccoli produttori rurali e con gli ambientalisti, poiché sono in gioco la sopravvivenza dell’Amazzonia e la sovranità alimentare”.
Rispetto ai governi di carattere popolare, sorti dai movimenti stessi o grazie alle loro lotte, in generale, secondo Zibechi, “i movimenti oscillano fra l’appoggio critico e la critica senza appoggio”, per quanto ampi settori sembrano comprendere “che il miglior scenario possibile consiste nella continuità di amministrazioni progressiste sulle quali sempre è necessario però esercitare pressione affinché non si limitino ad amministrare la situazione ereditata”. Che è, poi, l’atteggiamento tenuto dal Movimento dei Senza Terra e dalla maggior parte dei movimenti boliviani, ecuadoriani e uruguayani, mentre non è quello dell’Esercito zapatista che, con la Otra campana, ha scelto con decisione “di separare il suo campo da quello della sinistra istituzionale” (…)
In questo quadro, il libro è davvero ricco di spunti di riflessione, in tutte e tre le parti che lo costituiscono: “Le radici della resistenza”, “Alcuni protagonisti” (dall’Esercito zapatista al Movimento dei Senza Terra, dalle Madri di Piazza di Maggio ai Piqueteros, ecc.) e “Contributi per un approfondimento”. E in tutte e tre le parti assai rilevante è lo spazio riservato al mondo indigeno con il suo esercizio collettivo del potere, quello del “comandare obbedendo”: pratica “rimasta irrisolta nelle nostre democrazie rappresentative, dove l’eletto in genere non è tenuto a rendere conto delle proprie scelte” (…) Ma dal mondo indigeno proviene anche un’altra sfida, quella del rapporto dell’uomo con la natura e con gli altri esseri viventi: “un problema che la scienza occidentale ha risolto rovinosamente e che la non scienza indigena ha impostato in maniera del tutto diversa, offrendoci riflessioni importanti per una via d’uscita dal labirinto in cui il sapere (occidentale) ci ha cacciati” (lo spiega in maniera approfondita Giulio Girardi nel suo intervento su “Capitalismo, ecocidio, genocidio”).
Ma il libro spazza via anche molti equivoci e molte illusioni rispetto alla presunta svolta a sinistra dell’America latina: cosa significa, oggi, si chiede Aldo Zanchetta, l’espressione “andare a sinistra?”. Significa “praticare politiche sociali di tipo assistenziale, che leniscono la povertà estrema e l’emarginazione, senza aggredirne le cause ed anzi rendendole “realisticamente” sopportabili all’interno di un sistema non rimesso in questione? Oppure politiche di redistribuzione di una parte del reddito nazionale lasciando inalterati i meccanismi della sua creazione? Oppure spostando la proprietà dei mezzi di produzione dai privati allo Stato, ma senza cambiare il paradigma consumista né quello dirigista e neppure quello della natura vista come “estrema” al modello economico?” (…) “Ma è possibile ad esempio scambiare la presa di distanza dagli Stati Uniti, certamente in atto, come un automatico incamminarsi verso il mondo diverso tanto auspicato?”. Tanto più che “le politiche economiche decisamente neoliberiste di Brasile e Argentina”, come pure “il sogno brasiliano di affermare il proprio ruolo di potenza regionale”, rischiano di orientare l’integrazione latinoamericana “in una direzione diversa da quella bolivariana di Chàvez e del ben vivere di Morales e di confinare in pochi Paesi l’esperienza dell’Alba, l’Alternativa bolivariana per le Americhe, certamente uno dei veri fatti nuovi più interessanti degli ultimi tempi in America Latina”. E senza contare che – scrive ancora Zanchetta – “né il Venezuela di Chàvez né ora l’Ecuador del governo Correa e in parte almeno neppure la Bolivia di Morales, al di là delle dichiarazioni di intenti, sembrano capaci di sganciarsi dal modello produttivo tradizionale, imperniato sull’alto consumo energetico e di materie prime”. È proprio questo, peraltro, uno dei principali meriti del libro: quello di non rinunciare mai alla necessaria critica costruttiva.”
(Sintesi redazionale da “ADISTA” del 7 giugno 2008).