“Managua: un’entità di frammenti” – Laura Adele Puatto

MANAGUA: un’entità di frammenti tra rischio, disuguaglianze e sviluppo dipendente”
di Laura Adele Puatto – Prefazione di Agostino Petrillo – Libreria Clup Milano – maggio 2008 pp. 209.

Sintesi dalla PREFAZIONE “Managua, quasi un rimpianto.” Agostino Petrillo.
Il volume di Laura Puatto che qui presento costituisce l’unico tentativo di cui io sia a conoscenza di tracciare una storia urbana e al tempo stesso politico-sociale della capitale del Nicaragua, dalla sua nascita a oggi. Non che siano mancati contributi parziali su singoli aspetti, ma un lavoro di sintesi non era stato sinora mai realizzato. Viene così colmata una lacuna tutt’altro che marginale, dato che le vicende della città sono di grande interesse, non solo per quanto riguarda la sua storia più generale, ma anche perché gli eventi che l’hanno attraversata negli ultimi due-tre decenni hanno finito per riservarle un posto molto particolare nel contesto delle città latinoamericane. Viene quasi da pensare che proprio queste specificità possano costituire il motivo per cui lo studio della città è stato finora così trascurato.
Managua, inquieta, dato che parla di quello che l’urbanesimo latinoamericano sta diventando e di quello che avrebbe potuto essere.
Presa nel vortice di cambiamenti che si sono succeduti rapidamente, di una spirale che ha visto alternarsi progetti politici di segno molto diverso, su di essa continua ad aleggiare una certa atmosfera di incompiutezza, in cui sopravvivono i fantasmi di altri sviluppi possibili, di cui una serie di congiunture storico-politiche ha impedito la realizzazione. Ma procediamo con ordine: per quanto riguarda la sua storia plurisecolare il destino di Managua è stato affine per un lungo tratto a quello di altre città latinoamericane, passate dal dominio coloniale al periodo dell’indipendenza, per sfociare poi in dittature di caudillos che esprimono il potere di oligarchie, in alcuni casi ristrette a poche famiglie. Peculiare è però in questo caso l’intreccio tra natura e storia, dato che Managua non nasce come città coloniale, ma come antico insediamento indigeno. La vicenda che vediamo scorrere in queste pagine è quella di una città più volte devastata e ricostruita, in cui le forze distruttive della natura si intrecciano con una pervicace volontà umana di rimanere nello stesso sito. Sotto questo profilo il terremoto del 1972 costituisce uno spartiacque decisivo nella storia urbana della città, con l’abbandono delle vecchie centralità monumentali-rappresentative pressoché completamente rase al suolo. Managua porta il segno di ferite passate, di poteri spietati, di terribili forze naturali che hanno operato risagomandone, di volta in volta, il profilo. Ma oltre alla natura instabile di questa città di inondazioni e vulcani, richiama l’attenzione anche la violenta successione di epoche storiche e di regimi politici. Vengono infatti ricostruite in queste pagine sia le vicende remote della città, sia il periodo di fermento, di speranze e cambiamenti che coincide con la fine del regime dittatoriale di Somoza data dalla rivoluzione sandinista. Così vengono ripercorse diverse fasi della sua storia urbana e sociale, con particolare attenzione ai decisivi anni Ottanta, che l’hanno vista catapultata al centro dell’attenzione mondiale.
Managua infatti è stata in ordine di tempo l’ultima città della storia delle rivoluzioni a calamitare speranze di cambiamento politico radicale. Nel decennio sandinista, tra il 1979 e il 1990, essa ha rappresentato un riferimento non solo per l’America latina, in cui il mito di Cuba appariva un po’ appannato, ma anche per i rivoluzionari di tutto il mondo, divenendo una sorta di piccola “capitale dell’utopia” come afferma giustamente l’autrice.
L’originalità del sandinismo, movimento politico in cui a una componente marxista si sommavano orientamenti di radicalismo cristiano, legati alla “teologia della liberazione” e tendenze socialiste di ispirazione non marxista, ha fatto sì che la rivoluzione suscitasse molte simpatie in ambiti politici diversi tra loro. Negli anni cruciali del governo sandinista, a Managua hanno circolato volontari provenienti da tutto il pianeta, una sorta di legione internazionale che, nella sua generosità, ricordava i volontari affluiti da ogni parte per combattere nella guerra civile spagnola. Anni difficili, in cui i fermenti di utopia scocialisteggiante presenti nel sandinismo si sono dovuti misurare con la realtà dell’embargo e della controguerriglia, con il progressivo venir meno del sostegno popolare. È questo il periodo, ben descritto nel testo, in cui tra difficoltà di ogni genere la città cerca una fisionomia nuova, si ricopre di murales, cerca di sperimentare forme originali di organizzazione sociale di base e di vita di quartiere. Vedono la luce i primi tentativi di una pianificazione territoriale, in una citta in precedenza segnata da interventi di tipo autoritario e celebrativo; una presenza capillare e continua della politica si radica nelle realtà di quartiere e, soprattutto, si diffonde un’atmosfera, un clima difficilmente ripetibile, che caratterizza la citta in questo segmento temporale. L’iniziativa urbana dei sandinisti si concretizza in questi anni in istanze di decentramento amministrativo, nel tentativo di introdurre forme di partecipazione dal basso con i cabildos, asemble municipali, nella ricca iconografia che ricopre i muri delle città con artistici graffiti.